Inventare formazione con adolescenti distanti

Indice

I. Il lutto e l'essenziale

Al termine dell'ultima riunione d'equipe prima dell'irrigidirsi delle norme di distanziamento sociale, ero un po' scoraggiato; pur essendoci venuta qualche bella idea, temevo che sarebbe stato davvero difficile rientrare in contatto con i ragazzi.

Le domande erano tante:

  • Come si fa apprendimento esperienziale a distanza? È possibile?
  • È possibile farlo con ragazzi che hanno lasciato la scuola, ognuno con situazioni di crisi personale, qualcuno a rischio ritiro sociale, molti poco motivati?
  • Come coinvolgere adolescenti in molti casi provenienti da famiglie non in grado di supportarli, in difficoltà economica che spesso non possiedono altro strumento digitale oltre il proprio smartphone?
  • È possibile conservare in qualche modo il setting, lo «spazio magico» dell'Anno Unico, che è così importante per il successo del nostro lavoro?

… perderemo tutti i ragazzi?

Era passata una settimana da quando non li vedevamo e mi sembrava già di aver perso la sintonia con loro, che quel delicato filo che faticosamente si era costruito in questi mesi si sarebbe sfibrato nel lavoro a distanza. Li avevamo contattati via messaggio, chiedendo loro come stavano e, come prima semplice consegna, avevamo chiesto di mandarci foto di quegli oggetti che li stavano aiutando a vivere meglio queste giornate, ma le risposte erano state davvero poche.

Ciò che temevo era che l'aura speciale dell'Anno Unico, la sua caratteristica di essere luogo «altro» di esperienze intense, si sarebbe irrimediabilmente persa. Mi chiedevo poi quali fossero le aspettative delle famiglie, e avevo grossi dubbi sulla tenuta economica del corso.

In parallelo, al di fuori del lavoro, iniziavo a essere preoccupato per la situazione sanitaria nel Paese e soprattutto qui in Lombardia. Se i primi giorni di sosta forzata mi erano parsi un momento perfetto per riprendere fiato da un'annata impegnativa su tutti i fronti, quasi una piccola vacanza, dopo pochi giorni ero meno già meno sereno. Quando ancora girava lo slogan #milanononsiferma, mia sorella, medico di base, mi raccontava la situazione negli ospedali, la sentivo molto tesa. Pensavo a lei, ai miei genitori anziani, a cosa sarebbe accaduto alla mia bimba piccola se io o la mia compagna fossimo stati ricoverati. Preoccupazioni professionali e familiari si intrecciavano in un mix destabilizzante.

Regola n 1: Diffidare delle soluzioni tecniche e stare con il problema

La fase del «lutto» per me è durata quasi due settimane. Mi sentivo impotente. In rete si moltiplicavano le lodi alle scuole di «eccellenza» che dichiaravano di aver riprodotto fedelmente in digitale il loro lavoro in presenza, che continuavano a correre, o quantomeno ci provavano.

Tutto ciò un po' mi infastidiva: nel mondo (e nelle vite dei ragazzi) stava succedendo qualcosa di enorme, e la scuola sembrava vi si confrontasse solo da un punto di vista tecnico, nell'illusione che spostando online le lezioni la crescita e la formazione dei più giovani fosse salva (ovviamente non mancavano voci fuori dal coro di singoli insegnanti e di qualche pedagogista, ma sicuramente minoritarie).

All'Anno Unico per fortuna non abbiamo avuto molta scelta: il problema non era aggirabile in nessun modo, visto che noi non avevamo programmi da terminare, vista la fragilità dei nostri ragazzi; eravamo obbligati a stare nell'inquietudine, e accogliere le fragilità, nostre prima di tutto.

Ricordo una lunga telefonata con la collega Francesca che ha accolto la mia tensione. Rispetto allo stallo con i ragazzi mi ha detto «Aspettiamo, vediamo se ci rispondono, ascoltiamoli e facciamo quello che possiamo».

Decidere consapevolmente di rimanere per un po' in quel disagio, provare a sentirlo in tutta la sua forza senza l'urgenza di risolverlo è stato il primo passo importante.

Dovevo accettare che nostro lavoro non sarebbe stato più, per un lungo tempo, quello che era prima, avremmo perso tanti suoi componenti fondamentali che non potevano essere sostituiti.

Francesca mi aveva riportato al consiglio di Donna Haraway di «stare in contatto con il problema», accettarlo, non attendere soluzioni tecniche miracolose, ma allo stesso tempo continuare ad avere fiducia, «prepararsi a sbagliare ma riuscendo di tanto in tanto a scovare qualcosa che funziona, qualcosa di congruo e magari bellissimo che prima non c'era».

Per me era il punto di partenza di cui avevo bisogno.

Regola n. 2: se vuoi essere generativo smetti di tutelare te stesso

Un secondo passaggio importante è stato quello di concentrarsi sui ragazzi. Ciò che mi ha fatto uscire dallo stallo iniziale è stato proprio, anche con un po' di azzardo, smettere di preoccuparmi per un attimo della tenuta del «sistema» e di ripartire cercando solo una sintonia con loro; passare dal chiedersi «noi di cosa abbiamo bisogno per creare un Anno Unico a distanza?» a, più semplicemente, «di cosa hanno bisogno i nostri allievi in questo momento? Quali urgenze?».

Ero concentrato a garantire la continuità del sistema, a non abbandonare la metodologia fieramente sperimentata negli anni, un po' per sana responsabilità da coordinatore, un po' per orgoglio, piuttosto che cercare di ascoltarli, o meglio, di sentirli. Allentare la tutela di sé stessi (e delle realtà che abbiamo costruito) per volgersi verso l'altro (soprattutto quando ci si sente minacciati) non è mai facile, ma resta fondamentale per attivare movimenti generativi.

Regola n. 3: Nelle situazioni di emergenza porta con te solo l'essenziale

Noi formatori non avevamo idea di come rispondere alla domanda dei ragazzi «cosa dobbiamo fare per resistere a questa situazione, abitarla, viverla senza esserne sopraffatti e magari apprendere?», in fondo era la stessa questione che ponevamo a noi stessi (ovvero una domanda di apprendimento autentica…). Però qualche buona pratica in generale per abitare il caos e la destabilizzazione forse l'avevamo; in fondo l'Anno Unico è sempre stato uno spazio di ricerca sul tema della crisi: personale, sociale, storica; un luogo di sperimentazione di pratiche per «coltivare fiori nel caos».

Ho sempre sostenuto provocatoriamente (ma neanche troppo) che il lavoro didattico ed educativo con le nuove generazioni oggi deve avere come obiettivo primario lo sviluppo di competenze per abitare il caos.

Quello che avevamo di fronte ora era semplicemente un salto di qualità in questo caos.

Però nelle situazioni di emergenza si porta con sé solo l'essenziale. Abbiamo provato a prendere quanto di meglio avevamo imparato in questi anni, ma spogliandolo di ogni orpello, tecnica, metodologia; cercato il nucleo, per poi ri-declinarlo calandolo nella nuova situazione.

Serviva un esercizio di essenzialità: abbiamo ripreso pratiche, riflessioni, esperienze, letteratura che ci hanno nutrito in questi anni e ne abbiamo distillato una bussola semplice, ma che si è rivelata fondamentale per guidare la navigazione nelle settimane a venire.

Tre risorse per affrontare il caos

Il risultato lo si può sintetizzare così: è possibile abitare il caos, affrontarlo in modo generativo, se:

  1. Non si è soli. Si hanno come riferimento persone di cui ci si fida, legami che si basano sulla stima, l'amicizia, la cura reciproca
  2. Si possiedono strumenti per dare forma e senso ai vissuti caotici, difficili da far rientrare in narrazioni precostituite, per accogliere le emozioni, rallentare la velocità degli eventi, costruire pensiero critico.
  3. Si instaura un ritmo nella propria quotidianità, si mantiene qualche ritualità, struttura a cui aggrapparsi. Si concepisce il presente non come tempo sospeso di attesa di qualcos'altro ma come spazio in cui vale la pena attivarsi, sentirsi ancora vivi e sperimentarsi.

Questi sono i tre punti che ci avrebbero orientati. La sfida ora stava nel capire come potevamo muoverci a distanza per sorreggere i ragazzi in questo senso.

Ci abbiamo messo più di un mese a costruire, partendo da quanto detto, un intervento strutturato che potesse funzionare. Un tempo di tentativi, riflessioni, errori, entusiasmi. Nei prossimi capitoli provo a raccontarlo. A cominciare da come provare ad «esserci» a non farli sentire soli e costruire un setting il più possibile accogliente nel mondo digitale

II. Per un setting nel digitale inclusivo e accogliente

Quando i cambiamenti sono repentini, il paesaggio cambia in continuazione, il senso di comunità si sfalda, il mondo appare troppo complesso e frammentato per essere capito, sentire la vicinanza con persone di cui si ha fiducia, avere come riferimento qualcuno di significativo per la propria vita, può fare davvero la differenza.

Al di là del nostro mandato, di essere educatori, insegnanti di scienze o animatori teatrali, in questo momento per i ragazzi è probabile che possiamo essere annoverati tra quei riferimenti. Il nostro primo obiettivo è quindi semplicemente esserci, camminare al fianco in questo momento difficile.

Una riflessione ai limiti del banale ma che diventa una sfida complessa quando «esserci» si intende nel cyberspazio, in uno spazio digitale già sovraccarico di rumore, e i ragazzi sono quelli più sfuggenti, tendenti a sottrarsi allo sguardo dell'adulto o anche dei pari.

L'approccio multicanale per favorire l'inclusività

Il digitale non è tutto uguale: ogni piattaforma, ogni forma comunicativa che si può attivare nello spazio virtuale ha caratteristiche proprie, così come i ragazzi hanno differenti modalità e confidenza nell'utilizzo dei diversi canali. Anche dispositivi tra le loro mani sono differenti: c'è chi ha a disposizione un computer di ultima generazione e chi chi solo uno smartphone un po' rotto e con un sistema operativo datato su cui non si possono installare le app più recenti.

È importante avere questa consapevolezza quando si scelgono canali di comunicazione, ed è consigliabile mettere in campo un ventaglio ampio di possibilità.

Noi per riuscire ad «esserci» con i nostri ragazzi, abbiamo deciso di partire mettendo in campo sei (6!) diversi canali/modalità di comunicazione:

– WhatsApp: Non potevamo prescindere dall'applicazione di messaggistica più utilizzata dai ragazzi, sebbene senza prevedere l'utilizzo di gruppi.

– Email: ogni messaggio via WhatsApp viene inviato anche via mail, per i ragazzi e genitori che hanno la possibilità e le competenze per gestire il lavoro scolastico a distanza con un computer. Ci siamo accorti subito che molti ragazzi, in particolare quelli più introversi, interagiscono in modo molto più sereno e aperto via mail piuttosto che attraverso WhatsApp.

– La chat di Instagram: i ragazzi hanno a disposizione il riferimento di un account Instagram per inviare messaggi privati per chi si trovasse più a familiarizzare maggiormente con quello strumento (ci ha stupito che da parte di alcuni i primi compiti svolti sono arrivati proprio attraverso questa piattaforma)

– La chiamata telefonica: con alcuni allievi la classica chiamata vocale si è rivelata il mezzo più efficace per ri-agganciarli. Un ragazzo, completamente scomparso nelle prime due settimane ha risposto a una mia chiamata (sebbene al secondo tentativo) e ha passato una mezz'ora intensa a raccontarmi la sua vita in quarantena. Da lì siamo andati avanti relazionandoci solo attraverso telefonate l'invio di compiti svolti. Con un altro allievo, vista l'impossibilità di utilizzare la videochat, proprio al telefono si sono fatte anche rocambolesche lezioni individuali.

– Videochat: abbiamo istituito fin da subito una videochat di incontro settimanale, come conviviale di incontro e condivisione dei vissuti, non di lezione. Per la chat abbiamo stabilito delle «regole di sicurezza» che racconterò a breve.

– Podcast: è nata Radio Anno Unico. La radio come spazio di comunicazione «caldo» in cui lo schermo lascia spazio alla voce e alla musica. Ci è parso tra i media digitali quello più simile alle caratteristiche del nostro setting.

Non ci aspettavamo che i ragazzi avrebbero seguito ogni proposta, si sarebbero palesati su ogni canale, era fondamentale però aprire corridoi comunicativi con il numero più ampio di loro. Il compito che ci eravamo dati era di valorizzare qualunque loro interazione cercando di svilupparla, con delicatezza, in un dialogo.

Fortunatamente questo cambiamento è avvenuto ad anno scolastico avanzato, da ottobre a febbraio c'è stato quindi sufficiente tempo per costruire legami con i ragazzi, fiducia, relazioni non superficiali.

Un conto è infatti, in ambito formativo, costruire relazioni da zero in ambiente digitale e un conto è portare avanti quelle già solide (di questo bisognerà tenere conto all'inizio del prossimo anno se, ci auguriamo di no, la situazione dovesse di nuovo presentarsi così)

Curare il setting nelle piattaforme digitali

Una questione delicata è quella del setting, anche se in ambito scolastico sembra poco riflettuta. Le piattaforme digitali non sono neutre, creano degli ambienti con proprie specificità, incoraggiano determinate modalità di relazione e ne rendono difficili altre, hanno una propria dimensione pedagogica (che può essere anche una «pedagogia nera»…). Le classiche piattaforme scolastiche sono costruite principalmente per il lavoro di tipo cognitivo, i social network privilegiano il rumore e l'emotività immediata escludendo la profondità e la riflessione; le app di messaggistica istantanea richiedono un'attenzione h24, la nostra presenza continua. I gruppi sono spazi dove è fondamentale ribadire di esserci, meglio se mostrandosi brillanti, dove il silenzio non è ben visto. Muovendo da questa consapevolezza, da un approccio di «autodifesa digitale» (Ippolita, 2017) e valutando l'impossibilità, quantomeno in questa prima fase, di abbandonare alcuni di questi strumenti, abbiamo deciso di:

– Utilizzare il meno possibile canali comunicativi che restituiscano un rating.

Evitare il più possibile di costruire la nostra relazione in uno spazio gamificato, in cui i like e cuoricini viziano la comunicazione trasformandola in un gioco narcisistico di accumulo di punti (ci sono delle piattaforme che scuole e università hanno adottato come proprio standard che comprendono queste caratteristiche!).

– Utilizzare social network solo per la messaggistica 1 a 1, non aprire un gruppo WhatsApp che comprenda noi e i ragazzi.

Il gruppo WhatsApp è per sua natura ansiogeno. In ogni istante (giorno e notte) può arrivare un messaggio, è necessario decidere se rispondere e quali parole usare per essere adeguato e magari brillante. In questo spazio chi è più introverso e in difficoltà nelle relazioni soffre la richiesta di dover partecipare, di essere sempre coinvolto attraverso le notifiche in un territorio che lo mette a disagio; chi tende al protagonismo è invece sempre di più spinto ad alzare il livello del «rumore». Abbiamo quindi deciso di utilizzare WhatsApp in modalità 1 a 1, oppure broadcast, attraverso la quale è possibile inviare un messaggio che raggiunge contemporaneamente i ragazzi ma individualmente.

– Stabilire specifiche regole «di protezione» in videochat:

Abbiamo comunicato ai ragazzi le regole della videochat. Ognuno poteva scegliere se intervenire:

  1. con immagine e voce,
  2. solo a voce tenendo spenta la telecamera,
  3. tenendo spenta telecamera e microfono utilizzando solo la chat,
  4. non utilizzando nemmeno la chat ma solamente come ascoltatori passivi (per quanto un ascoltatore non sia mai passivo…).

È importante esplicitare loro il permesso di proteggersi, di entrare nello spazio digitale, in particolare in una declinazione che espone fortemente, come la videoconferenza (spalancando agli altri le porte della propria casa), nel modo più conforme a sé.

Ricordiamoci che fino a qualche settimana fa nelle scuole era vietato che i compagni si riprendessero tra di loro o filmassero gli adulti; oggi esporre e rendersi passibili dell'appropriazione della propria immagine è diventato al contrario in molti casi obbligatorio senza che il problema venga neanche tematizzato.

È stato interessante osservare come i diversi ragazzi, di fronte a queste opzioni, abbiano scelto la propria modalità di interazione, e come gruppi diversi abbiano optato per scelte diverse. Nella videochat della Gilda, il gruppo di ragazzi più introversi, pochissimi di loro appaiono in video, la maggior parte interagiscono solo attraverso la voce, un paio solo scrivendo in chat; invece nel gruppo della crew una sola persona ha deciso di non mostrarsi in video.

– Utilizzare quando possibile piattaforme non proprietarie:

L'idea è quella di utilizzare il più possibile applicazioni F/LOSS, non proprietarie, tematizzando la scelta con i ragazzi. Questa decisione non va a influire sul tipo di esperienza relazionale in rete ma, caratterizzando fortemente lo spazio in cui ci si incontra, ha un valore educativo importante.

In questi giorni il nostro miglior alleato è ad esempio Jitsi, piattaforma per la videoconferenza, sviluppata con approccio comunitario. Non è necessario loggarsi per partecipare agli incontri, la piattaforma non raccoglie nessun tipo di dato dagli utenti. Quando l'incontro termina scompare anche ogni traccia.

L'attuale ricorso di massa alle piattaforme digitali ha incrementato nella scuola e nei contesti educativi il ruolo di grandi multinazionali che costruiscono i loro introiti sulla vendita dei dati, e che hanno interesse alla diffusione di sistemi proprietari. Ad emergenza finita sarà difficile tornare indietro. Un discorso critico sulla scelta degli ambienti digitali da utilizzare, che non tenga conto solo di quanto «funzionano» non è rinviabile alla conclusione dell'emergenza.

– La webradio, una possibilità per ricreare un «setting notturno»

Il podcast, o meglio Radio Anno Unico, non è sicuramente l'intervento più impattante nell'economia di quelli che abbiamo messo in atto, ma ritengo che abbia un valore e meriti una piccola riflessione a parte. Probabilmente la webradio, il podcast, è uno tra gli strumenti comunicativi più «caldi» tra tutte le possibilità offerte dal mondo digitale, e può quindi riportare qualcosa dell'atmosfera dei setting educativi che coltiviamo in presenza. L'assenza del video e quindi della sovrastimolazione visiva, la centralità della voce, la musica di fondo generano un'atmosfera più intima, notturna. Ho riservato uno spazio delle brevi trasmissioni prodotte in queste settimane per spiegare le consegne delle attività più riflessive, portando anche frammenti di me, oppure rilanciare e valorizzare le stesse parole scritte dai ragazzi in un'ottica di condivisione, di «cerchio». Qualche ragazzo ha detto che ascolta queste registrazione di notte «per farsi dei viaggi».

Radio Anno Unico la concepisco anche come un piccolo regalo, un impegno non richiesto, un'«eccedenza»; mi piace pensarla come un atto di bellezza che dedico ai ragazzi; forse in questo periodo ne abbiamo molto bisogno.

…e i ragazzi ci sono

Attraverso questo approccio multi-canale e multi-opzione siamo riusciti a coinvolgere quasi tutti i ragazzi; ognuno partecipa a modo suo ma la comunità si è ricreata, mantiene il suo legame. Rimane Emanuele che è comparso solo una volta in videochat senza però dire nulla, siamo però in contatto con la mamma che ci dice che dopo tre anni di reclusione volontaria a casa ora le dice che gli manca la scuola.

Marino invece, che nelle prime settimane era completamente sparito, ora risponde con monosillabi ai messaggi. Ci spiega che ha grossi problemi a casa, che non riesce a fare i compiti ma vede e ascolta quello che mandiamo.

Come aiutare i ragazzi a costruire senso quando le emozioni rischiano di sovrastare e si fa fatica a interpretare il mondo? È il tema del prossimo capitolo.

III. Costruire senso quando il caos è dentro e fuori

Quando qualcosa di improvviso fa saltare le certezze della quotidianità i vissuti emotivi possono destabilizzare, diviene difficile orientarsi e interpretare il mondo: si perde il senso. In questi giorni lo stiamo vivendo un po' tutti. Il caos si moltiplica, le emozioni a volte sono difficili da reggere. Il compito della scuola (e di qualunque contesto di formazione…) oggi forse deve essere quello di sostenere i ragazzi nello sviluppare la capacità di vivere questo momento, di costruire nuovo senso, di trasformare il vissuto in esperienza, in apprendimenti inediti. Una necessità tanto più urgente per quei ragazzi in condizione di maggiore vulnerabilità e disagio, che ciò che sta accadendo ha amplificato.

Un periodo fecondo per imparare: evidenziare i temi di apprendimento

La situazione attuale, nella sua tragicità, è indubbiamente una grande risorsa di apprendimenti. In quanto formatori è importante provare a focalizzare quali sono i principali temi di apprendimento potenziali in modo da sostenere i ragazzi nel costruire il proprio percorso di ricerca.

I temi di apprendimento sono domande aperte, problemi che aprono scenari di ricerca autentici, di cui il formatore non è depositario della risposta. Eccone alcuni che in equipe abbiamo evidenziato:

  • Come ci si relaziona con la fragilità dell'uomo, la sua impermanenza, la morte?
  • Cos'è la scienza? Qual'è il suo metodo? Quali sono i suoi limiti?
  • Quale rapporto tra l'uomo e l'ecosistema?
  • Come si abita la solitudine? Cos'è la solitudine?
  • Come resistere in situazioni di limitazione della libertà?
  • Quale rapporto tra libertà e sicurezza?
  • Quale rapporto tra scienza e politica?
  • Come relazionarsi con la paura, l'ansia, e tutte le emozioni che a volte ci sovrastano?
  • Quale rapporto tra comunità e individualismo?

L'elenco potrebbe andare avanti a lungo, i temi di apprendimento sono potenzialmente infiniti, ognuno ha i propri, quelli che per sé sono prioritari, urgenti, o che semplicemente lo coinvolgono maggiormente. Fondamentale da parte del formatore è cercare di dare la possibilità ad ogni ragazzo di approfondire i propri, ponendosi in ascolto, ampliando e personalizzando il numero degli stimoli, e le proposte di attivazione.

Quali attivazioni per il lavoro a distanza

Una volta esplicitati i temi di apprendimento il nostro compito è individuare attivazioni, testi, pratiche che siano da stimolo per supportare il percorso di approfondimento. Le consegne possono focalizzarsi sulla produzione scritta, multimediale, sul disegno; il materiale testuale può essere narrazione scritta, pittorico, storico, poetico, musicale, filmico, giornalistico o altro.

Se nella necessità di esserci con i ragazzi, sottolineata nell'articolo precedente, era fondamentale che ci ponessimo con loro prima come esseri umani che come professionisti, in questo tipo di lavoro le nostre specifiche competenze professionali e disciplinari tornano fondamentali. Se siamo insegnanti di matematica, di scienze, educatori, poeti, attori, sociologi, il contributo che possiamo dare è diverso, e tutti sono preziosi.

La sfida particolare in questo momento è formulare proposte che possano funzionare a distanza, senza bisogno di lunghe spiegazioni, coinvolgenti a sufficienza per essere svolti a casa senza perdere l'attenzione, in famiglie in cui talvolta l'adulto non è nelle condizioni di essere da supporto. Non vuol dire avanzare proposte banali, ma invece va intesa come un'occasione anche su questo fonte per ricercare l'essenziale, sostenere la possibilità generativa senza le complessità di cui talvolta sono cariche le nostre attività.

Strumenti per rielaborare e gestire vissuti emotivi destabilizzanti

Abbiamo scelto di focalizzare le prime consegne su attività di rielaborazione del vissuto emotivo e della nuova quotidianità, provando ad indagare le domande quali «Come relazionarsi con la paura, l'ansia e tutte le emozioni che a volte ci sovrastano?», «Come si accoglie e ci si relaziona con la fragilità umana?», «Come si abita la solitudine?». Ci sembrava il fronte più urgente: i ragazzi sono stati forzati a casa da un giorno all'altro, con la propria famiglia, non sempre luogo sereno, e con le proprie inquietudini e timori: la paura di aver perso un altro anno, la fatica della co-abitazione forzata, la distanza dagli amici, la tensione per quello che sta succedendo fuori.

il diario

La prima proposta è stata di provare a cimentarsi in alcune pagine di diario. Ho inviato loro alcuni brani estratti dal diario di Anna Frank (con il rischio di risultare un po' troppo «classico» e scontato), chiedendo loro di leggerli, di sottolineare i passaggi che risuonavano di più in loro e poi di provare a scrivere un proprio diario, raccontando almeno due giornate della loro settimana da «reclusi».

È stato inaspettato ricevere pagine e pagine di racconti, riflessioni mai banali sulla loro vita a casa, racconti-sfogo di sofferenze e fatiche ma anche testimonianze di piccole gioie fatti che li avevano stupiti positivamente. La cosa più importante è che, a giudicare dalla quantità del materiale prodotto, hanno provato benessere nello scrivere, scoperto il valore di questa pratica, soprattutto in momenti di emergenza.

Inoltre leggere i testi dei ragazzi è stato un primo modo anche per noi di avvicinarci ai loro vissuti, ricominciare a «risuonare» insieme a loro.

la poesia

La seconda proposta è stata invece in ambito poetico. Abbiamo dato ai ragazzi una consegna molto semplice: scrivere 10 versi che iniziavano con «Paura di…» e altri 10 con «Credo in…», alla maniera di due poesie che avevamo inviato loro (Paura di Carver e Ciò in cui credo di Ballard). In tempi di destabilizzazione, dare nome ai timori (e alle angosce) e rievocare i propri riferimenti saldi forse è importante.

Abbiamo ricevuto materiale da quasi tutti i ragazzi, e i contenuti erano molto intensi. Per valorizzarli, come restituzione «a distanza», ho estratto un verso da ogni poesia ricevuta e li ho «mixati» insieme creando un nuovo testo che poi ho letto durante la registrazione di una puntata di Radio Anno Unico.

Costruire apprendimento critico sulla situazione attuale

Oltre ad aiutare i ragazzi nella rielaborazione dei vissuti personali, è importante dare un senso anche a quello che sta succedendo «fuori», facilitare una riflessione critica rispetto alla situazione che la società sta affrontando in tutta la sua complessità, nei suoi aspetti: sociali, etici, economici, politici, scientifici.

Ogni giorno ognuno di noi è raggiunto da centinaia di stimoli informativi riguardanti la situazione della pandemia, ma che spesso si riducono a fatti di cronaca frammentati o peggio semplicemente a numeri, in una sorta di trasformazione della realtà in un gioco, un grande videogame in cui vinceremo quando arriveremo a «zero contagiati». Tutto questo genera facilmente ansia e tensioni e poca consapevolezza nella lettura del presente.

Per questa ragione abbiamo deciso di selezionare e inviare ai ragazzi alcuni articoli riguardanti la situazione attuale, attenti che avessero queste due caratteristiche:

  1. affrontino temi a cui i ragazzi in qualche modo siano già sensibili
  2. non si limitino alla mera cronaca ma propongano una riflessione più ampia, un tentativo di dare una lettura di senso.

Fino al momento in cui scrivo abbiamo trattato il tema della condizione delle categorie sociali più vulnerabili in un contesto di distanziamento sociale e il tema del controllo sociale. L'aumento di controlli e la limitazione della libertà personale è uno degli argomenti più sensibili per alcuni dei ragazzi, in particolare quelli che hanno già vissuto situazioni di tensione con le forze dell'ordine o procedimenti giudiziari.

Un approccio esperienziale e critico

In una prospettiva di apprendimento critico ed esperienziale (Freire 1971, Reggio 2010) si è chiesto ai ragazzi di evidenziare quali problematiche i testi facevano emergere in loro, quali risonanze e quali punti di disaccordo.

Si è proposto di cambiare il punto di vista rispetto a quello abituale mettendosi nei panni di persone altre da sé, di immaginarsi ipotesi di azione o cambiamenti per il futuro.

Il valore di mettersi in gioco noi per primi: quando anche il formatore si sperimenta nelle consegne date ai ragazzi.

Un impegno che mi sono preso durante questo periodo è di svolgere le consegne che diamo ai ragazzi. Se c'è da scrivere una poesia la scrivo anch'io, faccio mente locale per immaginare la mia pagina di diario, mi prendo del tempo per riflettere sugli argomenti che poniamo loro e formulo le mie domande rimaste ancora aperte. Questo materiale lo leggo o lo racconto nel podcast, o negli incontri in videochat.

Se da una parte una pratica di questo tipo ha realmente un'utilità anche per il formatore, per il proprio personale percorso di costruzione di senso, da un'altra è carico di messaggi importanti per i ragazzi: innanzitutto, la ricerca è un'esperienza che anche noi adulti stiamo portando avanti, con le nostre risorse, con le nostre vulnerabilità; in secondo luogo, non proponiamo attività al fine di valutarli o occupare il loro il tempo ma riteniamo che abbiano davvero un valore.

IV. Un ritmo per dare valore al presente

Gilles Deleuze e Félix Guattari ci suggeriscono che le «forze del caos» possono essere fronteggiate «costruendo ritornelli», creando ritmi che marcano dei confini nello spazio-tempo indeterminato. Un po' come i bambini che disegnando un cerchio con il gesso sulla strada, ritagliano la propria casa, uno spazio abitabile entro cui giocare. I due filosofi francesi facevano riferimento all'arte come strumento privilegiato per generare questi ritornelli, marcare questi confini nel caos, rimanendone però in dialogo. Il lavoro sopra descritto nello scorso articolo di produzione poetica e diaristica proposto ai ragazzi può probabilmente attivare un processo simile.

Si può parlare di ritmo come strumento per affrontare il caos anche in riferimento all'importanza, in una situazione come questa di assenza di impegni vincolanti imposti dall'esterno, di scandire momenti diversi nella propria giornata, mantenendo un controllo sul tempo. Un post che è molto girato sui social network nelle scorse settimane conteneva una citazione attribuita ad una scrittrice russa (di cui non sono riuscito a recuperare molte informazioni) che recita così:

«Una volta la nonna mi aveva dato un consiglio: Nei periodi difficili, vai avanti a piccoli passi

Fai ciò che devi fare, ma poco alla volta

Non pensare al futuro, nemmeno a quello che potrebbe accadere domani

Lava i piatti. Togli la polvere

Scrivi una lettera. Fai una minestra

Vedi?

Stai andando avanti passo dopo passo.

Fai un passo e fermati. Riposati.

Fatti i complimenti. Fai un altro passo. Poi un altro.

Non te ne accorgerai, ma i tuoi passi diventeranno sempre più grandi.

E verrà il tempo in cui potrai pensare al futuro senza piangere».

Al di là della retorica un po' consolatoria, perfetta per l'ambiente dei social network, il brano contiene un messaggio che potremmo immaginare consegnato simbolicamente da un anziano (la generazione più martoriata in questi giorni) che ha vissuto la povertà, magari la guerra, ai più giovani rimasti orfani della scuola.

Il suggerimento è stabilire ritualità nella propria quotidianità, non lasciarsi andare ma coltivare impegni dando valore al tempo presente, un tempo «liscio» in cui possono avere gioco facile piattaforme come Netflix, Youtube, Instagram, progettate per generare dipendenza, rapire nella «zona della macchina» (Dow Schüll 2015) in cui il presente scompare, lasciando poi però una sensazione di immobilità, impotenza, disistima.

Molti ragazzi con cui lavoriamo raccontano di situazioni in cui si sentono completamente in balia di queste piattaforme, invertendo talvolta il ritmo sonno-veglia. Imporre un ritmo proprio, lo sviluppo di un'autodisciplina che renda liberi di disporre di sé, si rivela obiettivo educativo ancora più importante.

Uno spazio di azione difficile

Ma cosa possiamo fare noi per sostenere i ragazzi su questo fronte? Sicuramente è uno dei campi in cui abbiamo meno possibilità di essere incisivi. La nostra azione si innesta nel territorio educativo totalizzante che è quello dei contesti famigliari dei ragazzi, uno spazio-tempo fuori dalla nostra influenza.

Proverò comunque, sulla scorta delle riflessioni e sperimentazioni attuali, ad evidenziare alcune piccole possibilità di movimento.

Sostenere a distanza

Con i ragazzi possiamo anzitutto tematizzare la questione, accogliere le loro storie, le difficoltà, le loro ritualità quotidiane o la difficoltà di costruirne. Si può ascoltare in modo non giudicante come è organizzata la loro giornata e suggerire individualmente impegni minimi alla loro portata, che possano davvero generare piccoli scarti. Quando è possibile è molto utile creare sinergia con la famiglia, sostenendo i ragazzi nel chiedere ai genitori (è importante che lo facciano loro stessi) un aiuto a mantenere delle ritualità che in prima persona si sono proposti.

Allo scopo di supervisionare anche questo aspetto abbiamo deciso di dedicare ad ognuno un contatto settimanale con il tutor.

Spostare lo sguardo dal futuro ad un presente che vale la pena venga vissuto

Il consiglio della nonna per affrontare tempi difficili è quello di non pensare al futuro, ma di concentrarsi sul presente. Si tratta di un approccio che all'Anno Unico abbiamo fatto nostro già prima di quest'emergenza: siamo chiamati a lavorare con ragazzi in dispersione scolastica (per cui simbolicamente si è interrotto il «viaggio verso il futuro») in un momento storico in cui lo stesso futuro ha cambiato di segno, da speranza diventato una minaccia (era già così anche prima del virus…).

In questo contesto è risultato prezioso rivalutare la dimensione del presente, il valore di ogni passo, concentrarsi su ciò che oggi, un giorno dopo l'altro, può far sentire «di più» senza comunque rinunciare alla dimensione del desiderio.

Declinato in questa situazione il suggerimento è di sottolineare con i ragazzi come il momento attuale non sia una spiacevole parentesi in attesa che il mondo ricominci, ma un tempo-risorsa in cui al contrario tutto si fa più intenso, così anche le possibilità di crescita e di cambiamento, indipendentemente da quello che sarà poi. La quarantena diventa in questo modo una sorta di rito di passaggio, uno spazio dove la quotidianità si sospende ma il processo trasformativo accelera.

Un esempio di questo si è appena visto con Monica: nel suo diario scrive che è molto dispiaciuta che tutto questo stia accadendo proprio ora, nel momento in cui (dopo tre anni di assenza da scuola) stava cercando di cambiare sfruttando al massimo l'occasione dell'Anno Unico per riprendere il proprio percorso formativo. L'attuale destabilizzazione potrebbe compromettere la possibilità di raggiungere gli obiettivi minimi per l'inserimento nella nuova scuola. Noi formatori, che eravamo ignari di questa preoccupazione, avevamo semplicemente osservato che lei, dall'inizio del lockdown, stava mettendo un impegno ancora più forte di prima nel portare a termine le attività assegnate, mostrando particolare sensibilità nel lavoro più riflessivo, e ci commuoveva il fatto di vederla seguire le video-lezioni del primo pomeriggio mentre riordina la cucina, in una casa dove il suo contributo nelle faccende domestiche è fondamentale.

Dopo aver letto quelle parole sul suo diario le abbiamo restituito che noi non sapevamo cosa sarebbe successo dopo, se a settembre ci sarebbero state le condizioni per l'inserimento che tanto desiderava. Però quello che potevamo fare era testimoniare quello che stava accadendo nel presente, che per lei era davvero l'anno del cambiamento, che avevamo di fronte una ragazza che stava crescendo velocemente, un processo irreversibile al di là di come sarebbe andata scolasticamente nei mesi immediatamente successivi. Una restituzione del genere l'ha colpita e in qualche modo forse ridato senso al suo fare.

Sostenere un'ecologia del tempo attraverso il ritmo dei nostri stimoli

Un'altra possibilità tra quelle a nostra disposizione è relazionarci nei confronti dei ragazzi in modo «ritmico ed ecologico».

Se la scuola o il lavoro educativo in presenza ha orari rigidi (anche eccessivamente) il lavoro a distanza talvolta rischia di essere troppo destrutturato, basandosi sui contributi individuali di formatori e operatori, non sempre coordinati: ognuno invia le proprie comunicazioni in qualsiasi orario, il suo carico di compiti senza conoscere quanto affidato dai colleghi.

Un forte coordinamento nell'interfacciarsi con i ragazzi, rispettando un loro sano bio-ritmo può essere un punto di partenza importante.

Come equipe noi ci siamo presi questi impegni:

  1. Dare regolarità alle nostre comunicazioni. I messaggi dei compiti, i colloqui telefonici, le videochat, le trasmissioni radio sono appuntamenti che si devono ripetere ogni settimana il più possibile sempre negli stessi giorni e orari, evitando la frammentazione. Questo richiede una forte autodisciplina anche da parte nostra, dato che non tutti, chi scrive prima di tutto, annoverano la puntualità e l'ordine tra le loro qualità migliori.
  2. Far sì che il carico di lavoro e coinvolgimento nelle attività sia tarato sulle possibilità ed esigenze dei ragazzi. Significa trovare quel delicato equilibrio tra attivarli in modo significativo, far sentire la nostra presenza ma senza superare il limite sottile al di là del quale si produce ansia, che per qualcuno si declina in iperattività per essere «all'altezza», sacrificando tempi per altre attività o il riposo, mentre per altri in una resa a priori.
  3. Dare la possibilità di personalizzare il carico di lavoro. Instaurare un'attenzione individuale e fornire le risorse affinché i ragazzi possano costruirsi un proprio programma di lavoro, variando carico e tipologie di attività a seconda della propria situazione e dei propri obiettivi.

V. La «strutturazione aperta»: un villaggio digitale nella giungla tossica

Passata la fase uno del lutto e dell'impotenza, la fase due dell'aggancio nei territori del digitale e della prima sperimentazione di nuove pratiche, siamo infine entrati in un'ipotetica fase tre, che potremmo definire della «strutturazione aperta».

Dopo più di un mese di sperimentazione, dopo aver testato gli strumenti a cui i nostri ragazzi rispondevano meglio, il loro grado di tenuta, aver ascoltato i loro ritorni, si è potuto definire un piccolo modello, un dispositivo che ha una sua forma specifica, seppur ancora «aperto», passibile di modifiche, anche importanti.

Abbiamo quindi ordinato in modo stabile gli interventi raccontati in queste pagine, osando qualche aggiunta (una videolezione di matematica e una di grafica a settimana).

In questo momento quindi la nostra settimana si presenta così:

  • ogni mercoledì invio delle consegne per un'atti/vità riflessiva, degli esercizi di matematica e inglese
  • una chiamata individuale da parte del tutor in cui fare il punto su vissuti personali e questioni scolastiche.
  • un appuntamento conviviale di condivisione di gruppo dei nostri vissuti, caratterizzato anche da leggerezza e risate insieme.
  • una videolezione «pillole di matematica»
  • una videolezione «gocce di grafica»
  • una trasmissione radio settimanale principalmente inerente a temi delle attività riflessive.

Inoltre, a sancire questa «fase della strutturazione» abbiamo fornito ai ragazzi due spazi web di riferimento, uno integrativo di «appoggio» a tutta l'attività proposta, e uno personale, un diario di bordo condiviso solo tra l'allievo e noi.

Ritengo sia importante a un certo punto sancire una nuova struttura, dare una forma e magari un nome al nuovo «villaggio». È importante per sottolineare che quello che abbiamo creato non è una brutta copia di quello che avevamo prima ma è qualcosa di nuovo, con pro e contro, ma con una sua dignità e, forse, bellezza.

Uno spazio virtuale (accogliente) che sia la casa della scuola online

Un elemento importante che ha caratterizzato questa fase è la creazione di una sorta di rifugio dell'Anno Unico in quarantena nel cyberspazio. In questo luogo (utilizzando il servizio Padlet) i ragazzi possono trovare il calendario, le consegne e i testi dei compiti assegnati per quella settimana, i podcast delle trasmissioni radio, l'archivio dei compiti delle settimane precedenti. Inoltre c'è una sezione che abbiamo chiamato «compiti a buffet», che contengono ulteriori attività esperienziali (principalmente) ed esercizi legati alle materie di base: così, nell'ottica che ognuno segua il proprio bio-ritmo, i ragazzi possono personalizzare il loro programma di lavoro individuale.

La pagina contiene inoltre materiale per ripassare alcuni argomenti delle materie di base (immagini, fogli di testo, videolezioni in un'ottica di flipped classroom) e uno spazio di condivisione di lavori riflessivi svolti dai ragazzi.

Questo spazio, fruibile anche attraverso app mobile, vuole essere anzitutto un punto di approdo per i ragazzi, un luogo ordinato che resiste alla frammentazione e al «rumore» che può generare il mondo digitale.

Una casa bella

Un'attenzione che abbiamo avuto è stata la resa estetica. Ci tenevamo che la casa virtuale dell'Anno Unico potesse essere bella, avesse una sua forza simbolica anche nella cura grafica sempre nell'ottica di coltivare spazi digitali il più possibile «caldi». Abbiamo quindi scelto la grafica di fondo e soprattutto le immagini. In particolare sono state utilizzati diversi screenshot tratti dall'anime Nausicaa della valle del vento del regista Hayao Miyazaki, come riferimento simbolico dell'approccio che vogliamo ci animi. In questo lungometraggio animato i personaggi devono stare molto attenti nelle loro azioni e portare sempre maschere antigas perché l'aria è divenuta irrespirabile e la natura ostile. La protagonista Nausicaa è un'adolescente che porta la propria vitalità e desiderio di rapportarsi in modo generativo anche nella «giungla tossica», tessendo relazioni, inedite alleanze, apprendendo e ponendosi in maniera trasformativa.

Fornire ai ragazzi uno spazio personale un po' zaino, un po' diario, un po' specchio che li mostra crescere.

Oltre alla pagina web ogni allievo ha a disposizione una seconda pagina che, a differenza della prima, è accessibile solo a lui e a noi. Si tratta di uno spazio dove poter raccogliere tutte le attività svolte, ma anche le riflessioni, i pensieri, tutto ciò che può essere importante dal punto di vista della crescita personale e dell'apprendimento che sta avvenendo in questo periodo, elementi magari emersi nei dialoghi settimanali con i tutor.

Questo spazio ha un valore integrativo, aiuta a mettere in ordine quanto conquistato e vissuto durante il viaggio, come metaforico zaino o diario di bordo. Inoltre può divenire anche uno strumento valutativo e soprattutto autovalutativo, strumento riflessivo in cui emergono potenzialità, passi avanti, si registra lo sbocciare di «fiori nel caos».

La scelta del software

Per realizzare la pagina integrativa e il diario personale abbiamo scelto di utilizzare, come accennato, l'applicazione Padlet; purtroppo abbiamo dovuto accontentarci di un software proprietario e non esattamente rispondente al nostro ideale (è bello pensare che un giorno si possa sviluppare un software libero immaginato appositamente per l'apprendimento esperienziale, pensato da formatori e coder insieme…). Ad ogni modo, tra altre opzioni che abbiamo vagliato era quella che meglio poteva avvicinarsi alle nostre esigenze di base: facilità nell'utilizzo condiviso dell'interfaccia, una certa elasticità nella personalizzazione del layout, la possibilità di incorporare file multimediali ed esporre in modo chiaro molti materiali in un contesto grafico gradevole. Si tratta di una piattaforma spesso usata nelle scuole elementari. Ritengo che per ragionare su un lavoro a distanza per adolescenti e adulti in una prospettiva di lavoro esperienziale può essere molto utile creare sinergia con il lavoro di ricerca dei colleghi che lavorano con i più piccoli. Sono forse più inclini a sperimentare soluzioni originali che tengano in considerazione anche gli aspetti relazionali ed emotivi, per sensibilità pedagogica e necessità dei propri piccoli utenti.

L'importanza delle scelte di oggi

Anche quanto raccontato fin qui in questo articolo è un diario di bordo, simile negli intenti a quello proposto ai ragazzi, mosso dal bisogno di porsi in modo riflessivo rispetto agli apprendimenti, le scelte, i vissuti di un formatore in questi giorni anomali, e per poterlo condividere con i colleghi, e partecipare alla creazione di un sapere comune.

È importante essere consapevoli anche noi che gli apprendimenti, le strade che stiamo esplorando e facendo nostre in questi giorni non avranno solo un valore in relazione a come rispondere all'emergenza, per poi «tornare alla normalità», ma influenzeranno sicuramente il dopo, nel bene o nel male. L'attenzione di oggi sul setting, sulle modalità relazionali, sulla tutela di un determinato sguardo pedagogico fino alla scelta del software modificheranno in modo permanente il nostro lavoro. La resistenza che stiamo mettendo in campo, quello che sapremo inventare oggi, come sapremo abitare e coltivare fiori nel caos, sarà molto prezioso domani.

Bibliografia minima

  • Deleuze G., Guattari F., (2003) Millepiani: Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma.
  • Dow Schüll N., (2015) Architetture dell'azzardo. Progettare il gioco, costruire la dipendenza, Luca Sossella, Bologna.
  • Freire P., (1971) La pedagogia degli oppressi, Arnoldo Mondadori, Milano.
  • Haraway D., (2019) Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero, Roma.
  • Ippolita, (2017) Tecnologie del dominio – Lessico minimo di autodifesa digitale, Meltemi, Milano.
  • Magatti M., Giaccardi C., (2014) Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano.
  • Reggio P., (2010) Il quarto sapere: guida all'apprendimento esperienziale, Carocci, Roma.